Clima

I mercati « carbonio », o come guadagnare milioni grazie all’inquinamento

Clima

di Ivan du Roy

È ancora meglio che trasformare il piombo in oro. Un pugno di industrie molto inquinanti ha attuato con successo un « tour de force »: convertire milioni di tonnellate di CO2 in decine di milioni di euro, grazie ai sistemi di scambi “dei diritti ad inquinare„ realizzati nell’Unione europea. Un effetto perverso di « chance » denunciato da una relazione che elenca queste nuove grandi fortune del mercato carbonio. Ed una bella frode in previsione per i consumatori. Spiegazioni.

Originariamente pubblicato in francese da Basta!

Alcuni sognavano di trasformare il piombo in oro. È ormai il CO2 che fa figura di Eldorado. Un pugno di industrie molto inquinanti è riuscita a trasformare l’impercettibile gas carbonico in denaro contante, convertire milioni di tonnellate di CO2 in decine di milioni di euro. Così, il campione della metallurgia ArcelorMittal, l’impresa più inquinante di Francia, ha ammucchiato nel 2008 l’equivalente di 202 milioni di euro grazie ai suoi “diritti ad inquinare„, e si preparerebbe a captare nuovamente nel 2009 42 milioni di euro. Come quest’alchemia sconosciuta e lucrativa è possibile? Grazie al mercato carbonio realizzato dall’Unione europea.

Piccolo richiamo per quelli che avrebbero perso tutti gli episodi precedenti (Kyoto, Copenaghen, dibattiti attorno “alla tassa carbonio„…). Per limitare le sue emissioni di CO2, l’Unione europea instaura nel 2005 delle quote di emissioni per paese, settori di attività ed imprese. Queste quote di emissioni sono rivalutate ogni anno. Un’impresa che supera la sua quota (accordata gratuitamente) deve comperare “permessi ad inquinare„ sul mercato carbonio, che corrisponde alle tonnellate di CO2 che ha emesso in più.

Al contrario, un’impresa che non supera il suo limite massimo di emissioni dispone di un’eccedenza “di permesso ad inquinare„. Può allora rivenderlo sui mercati carbonio per un profitto immediato, affidarli ad un fondo speculativo ed ammucchiare un interesse, o attendere che il corso del carbonio (attorno a 13 euro la tonnellata di CO2 all’ inizio 2010) aumenta per rivenderli. Questo ricorso a “lasciare andare „ del mercato è presunto indurre le imprese a rispettare le loro quote. Ma i suoi effetti perversi non hanno tardato a farsi sentire.

Opacità dei mercati carbonio

È ciò che indica una relazione pubblicata dall’organizzazione non governativa britannica Sandbag che si basa sui dati forniti dalla società di consulenze e di informazioni Carbon Market specializzata sui mercati carbonio. Secondo lo studio, dieci grandi imprese europee hanno accumulato 35 milioni di tonnellate di CO2 in diritti ad inquinare sull’anno 2008, l’equivalente delle emissioni di piccoli stati europei come la Lituania. « Sui cinque anni di scambi sui mercati carbonio (dal 2005 al 2010), riteniamo che queste dieci imprese abbiano accumulato 230 milioni di tonnellate d’eccedenza in permessi ad inquinare», scrive Sandbag. Ossia quasi 3 miliardi di euro al prezzo attuale della tonnellata di CO2.

Due imprese stabilite in Francia appaiono ai primi posti di questo « hit parade »: ArcelorMittal ed il cementificio Lafarge, quarto più grande emittente di CO2 nell’esagono, che ha praticamente intascato 59 milioni di euro nel 2008. Come le grandi industrie fra le più inquinanti riescono ad individuare “vantaggi„ sulle loro emissioni di CO2 ? La logica del sistema vorrebbe, al contrario, che non abbiano diritti ad inquinare a rivendere, o che siano obbligate a comperare diritti di emissioni sul mercato carbonio, e dunque a pagare almeno parzialmente le loro emissioni. Come lo si vedrà, il costo dell’inquinamento è sopportato da altre spalle.

L’ONG britannica denuncia la grande opacità dei mercati carbonio. Questi in realtà sono distorti fin dalla partenza. Il peccato originale risiede nelle quote che ogni paese attribuisce ai suoi settori d’attività nel 2005. «Per proteggere la competitività dei loro settori industriali, numerosi paesi hanno scelto di accordare quote molto generose, che includevano già stime sulla crescita di emissioni a venire». Numerose imprese sono state particolarmente protette dal loro Stato nel quadro delle attribuzioni di quote. Così Peugeot ha accumulato dei futuri “diritti ad inquinare„ 2,5 volte più importanti delle sue emissioni di CO2. Alcuni investimenti realizzati nello sviluppo di energie rinnovabili o nella protezione “dei pozzi di carbonio„ forestali nei paesi del Sud permettono di beneficiare in cambio di diritti ad inquinare. Ma questi sforzi non spiegano – al contrario - l’ampiezza dei diritti ad inquinare che hanno accumulato e che si affretteranno di rivendere alle imprese che emettono troppo CO2.

Mentre alcuni approfittano, occorre che altri compensano. I paesi europei «hanno compensato questa generosità in relazione all’industria fissando limiti inferiori per il settore energetico, che non è esposto alla concorrenza internazionale», spiega Sandbag. Risultato: ArcelorMittal, Lafarge o Peugeot hanno potuto accumulare permessi ad inquinare molto importanti mentre altre imprese, in particolare nell’energia, superavano - o esplodevano - le loro quote di emissioni.

Una doppia pena per le imprese ? O i consumatori ?

È il caso dei specialisti dell’energetica tedeschi RWE ed E.ON, o, in Francia, di GDF-Suez e di EDF. Quest’imprese saranno dunque obbligate a ridurre le loro emissioni: investendo “in meccanismi di sviluppo puliti„ nei paesi del Sud o comperando diritti ad inquinare… a quelli anche che non hanno avuto bisogno di compiere reali sforzi per ottenerli.

Chi sopporterà questi investimenti e questi sovraccosti ? I clienti delle compagnie energetiche. « I consumatori europei dunque alla loro insaputa sovvenzioneranno l’industria e pagheranno per riduzioni di CO2 che non hanno richiesto sforzi. C’è anche il rischio che sopportano il costo dei diritti ad inquinare che quest’imprese riceveranno in cambio dei loro investimenti o che dovranno comperare», indica la relazione. In breve, sotto pretesto d’attività economica più “pulita„, ci si prepara a pagare riduzioni di emissioni di CO2 che non sono veramente successe.

« I meccanismi immaginati dalle imprese sottoposte alle quote europee sono troppo costosi. Si rischia di mettere a male la competitività delle imprese», si preoccupava, metà febbraio, il presidente del Medef Laurence Parisot. In causa: «la doppia pena» che costituirebbe il sistema delle quote europee accoppiate ad una tassa carbonio estesa alle imprese sulla quale il governo riflette. «Poco loquace su questi profitti esorbitanti ottenuti grazie al sistema europeo di scambi di quote, i lobbyistes dei settori industriali chiamano il governo a rinviare l’attuazione del contributo carbonio oltre a luglio 2010 o abbandonarlo puramente e semplicemente. Le cifre mostrano, al contrario, che non soltanto non ci sarà «doppia pena», ma che gli industriali potranno attingere in quest’eccedenze per pagare il contributo carbonio», ritiene da parte sua Rete Azione Clima, che conta numerose ONG ecologiche come gli «amici della terra», Greenpeace o WWF. È anche la base di questa logica - fare riposare gli sforzi ambientali (e dunque in parte il futuro del pianeta) su meccanismi di mercato, senza vera regolazione - che è da rimettere in discussione: questi mercati che sono socialmente nocivi ed ecologicamente inefficaci.

Ivan du Roy

Traduzione in italiano : Fabienne Melmi (Global Action Italia)