Nucleare

A Fukushima, il governo vuole rimandare i profughi nelle zone contaminate

Nucleare

di Sophie Chapelle

Sono più di 160 000 le persone che hanno abbandonato i territori irradiati dalla catastrofe di Fukushima. E non dispongono di nessuno aiuto finanziario per ricominciare la loro vita altrove. Per il governo giapponese, la priorità è il ritorno nelle zone contaminate. Gratuità degli alloggi pubblici vuoti, monitoraggio sanitario e sussidio mensile riservato ai residenti, misure di decontaminazione dei suoli.... Tutto ciò è messo in opera per generare uno slancio al ritorno. Sul posto, dei cittadini, ricercatori e giuristi, si mobilitano per la riconoscenza legale del «diritto al rifugio»: il diritto di vivere altrove, in un ambiente non contaminato.

Originariamente pubblicato da Basta in francese

È una promessa scandita dal governo giapponese dalla catastrofe nucleare di Fukushima. Le 160 000 persone evacuate dalle loro case irradiate potranno, un giorno, ritornare a casa loro. A metà-novembre, un rapporto [1] reso pubblico è andato contro la dottrina ufficiale. Gli autori, membri del Partito liberale-democratico-che detiene la maggioranza assoluta alla Camera dei rappresentanti-esortano il governo ad abbandonare questa promessa di ritorno ed a sostenere finanziariamente gli sfollati affinché possano vivere altrove. Ma per il momento, nessuna misura concreta è stata adottata in questo senso. Nel maggio 2013, le autorità giapponesi hanno deciso anche di riaprire le zone vietate, aumentando i limiti di dose della normativa di radioprotezione della prefettura di Fukushima da 1 a 20 millisievert/anno (mSv/anno) (leggere la nostra inchiesta). Un tasso equivalente alla soglia massimale di irradiazione in Francia per i lavoratori del nucleare...

"Il governo continua a incoraggiare le persone a tornare a vivere in aree contaminate, talvolta a 10 km dalla centrale, conferma Cécile Asanuma-Brice, ricercatrice presso la Casa franco-giapponese di Tokio, istituto di ricerca sul Giappone contemporaneo [2]. Nelle città come quelle di Tomioka, non funziona più nulla, non c’è più economia locale, chi potrebbe aver voglia di vivere là? " Questa sociologa urbana che vive in Giappone da 12 anni, non ha mai sollevato la questione del nucleare, fino all’ 11 marzo 2011. Mentre lo tsunami costringe decine di migliaia di abitanti a migrare, si punta sulle politiche di rialloggio.

Degli alloggi provvisori costruiti su delle zone contaminate

Nelle settimane seguenti lo tsunami e la catastrofe nucleare, le autorità procedono in primis alla messa a disposizione gratuita di alloggi pubblici vuoti su scala nazionale ed alla costruzione di habitat di emergenza. Geografa di formazione, Cécile Asanuma-Brice sovrappone alla fine del 2011 la carta degli alloggi provvisori e quella di ripartizione della radioattività prodotta dal ministero dell’ambiente giapponese. La constatazione è terribile: le due carte corrispondono. Tre quarti degli alloggi provvisori si trovano su delle zone contaminate

Interpellato su questa situazione, il governo risponde sostenendo che si tratta di una semplice mancanza di concertazione tra i ministeri della Costruzione e dell’Ambiente . «Ma due anni e mezzo dopo, questi alloggi sono sempre occupati» , denuncia Cécile Asanuma-Brice. E ricorda che un’altra decisione «allarmante» è stata presa il 28 dicembre 2012. «Il governo ha messo fine alla riapertura del suo parco alloggi pubblici vuoti in tutto il territorio». Solo gli alloggi pubblici vuoti situati nel dipartimento di Fukushima rimangono gratuiti.

Politica di ritorno «al paese natale»

Secondo la ricercatrice, questa misura si inserisce nel quadro di una politica che mira a far tornare le popolazioni a vivere nelle zone contaminate. La gratuità del controllo sanitario è assicurata, per esempio, solo se si mantiene la registrazione di residenza nel dipartimento di Fukushima. «Una vasta politica di decontaminazione tanto vana quanto costosa è stata messa in atto, eventi culturali si svolgono ogni settimana nel centro città, stazioni di misurazione della radioattività -le cui cifre non sono divulgate- sono state installate su entrambi i lati del dipartimento per rassicurare i residenti», aggiunge Cécile Asanuma-Brice.

«Abbiamo molte informazioni in Giappone ma queste sono presentate in modo da incitare al ritorno alla vita nel dipartimento, questo»paese natale«senza il quale saremmo incapaci di vivere». Nei fatti, poche persone evacuate dicono di voler ritornare, anche potendo, secondo The Guardian. È il caso del solo 12% delle persone di Tomioka per esempio, uno dei villaggi più contaminati. «Che siano giapponesi, francesi, indiani o africani, nessuno ha voglia di lasciare il suo villaggio natale, ed è umano, dice Cécile Asanuma-Brice. Ma nel caso presente, il governo utilizza questo argomento per generare un impulso al ritorno rassicurando le persone ancora scettiche, mostrando loro che altri rifugiati cominciano a tornare. Tutto ciò è solamente una manipolazione attuata da esperti in comunicazione.»

Dei lavori di decontaminazione insufficienti

Una vasta campagna di decontaminazione dei suoli è stata avviata dall’amministrazione che ha speso per questo 2,7 miliardi di euro nel 2012. Il governo si appresta a fare un ulteriore prestito di 30 miliardi di yen, (215 milioni di euro), per accelerare la decontaminazione. In cosa consiste questa «pulizia?» «Muniti di spalatrici, di pale, di zappe, essi [i liquidatori] tolgono della terra, delle piante, della schiuma, delle foglie morte, elenca Cécile Asanuma-Brice. Armati di getti ad alta pressione, sciacquano i tetti, le attrezzature pubbliche e spingono i sedimenti negli scavi.» Gli scarti radioattivi sono stoccati poi in grandi sacchi accatastati su dei campi o cortili delle scuole. Non potendo eliminare la radioattività, questa è spostata o sepolta. Salvo risalire in superficie alle prime piogge...

Tutti questi lavori sono giudicati «insufficienti» dalla Commissione di ricerca e d’informazione indipendente sulla radioattività (Criirad), in Francia. Nel giugno 2012, ha effettuato delle misurazioni nelle case decontaminate: sei mesi dopo i lavori, ha notato delle dosi annue fino a sei volte superiori alla norma definita dall’Organizzazione Mondiale della Salute (vedere il rapporto).

«Gli aiuti dovrebbero essere forniti agli abitanti per permetter loro di traslocare verso i territori non contaminati», raccomanda Bruno Chareyron della Criirad. «Al contrario, gli aiuti finanziari sono programmati per il rifugio nel dipartimento di Fukushima», nota Cécile Asanuma-Brice. Traslocare in un’altra parte del paese significa perdere il magro sussidio mensile di 780 euro.... Niente sembra essere fatto per permettere alle vittime di vivere altrove.

Riconoscere il diritto alla migrazione

Dopo la catastrofe nucleare,ufficialmente, 160 000 persone avrebbero lasciato il dipartimento di Fukushima. Ma questi dati potrebbero essere ampiamente sottovalutati. Perché le persone desiderose di partire devono presentarsi negli uffici del dipartimento, per iscriversi nel sistema di informazione che riguarda i profughi. «Questo sistema è assolutamente sconosciuto dalla popolazione e le iscrizioni sono molto poco numerose poiché le persone non ne conoscono l’esistenza», precisa Cécile Asanuma-Brice. Quelle e quelli che migrano fuori dal dipartimento di Fukushima sanno che perdono immediatamente i loro diritti al risarcimento ed al controllo sanitario. Non hanno nessun interesse a registrare la loro partenza!

Nel giugno 2012, una proposta di legge «per la protezione sanitaria dei bambini» è stata votata dal Parlamento giapponese. Elaborata in concertazione con le associazioni di cittadini e di giuristi, questa legge integra la nozione di «diritto al rifugio». «Permettere il diritto al rifugio significa dare alle persone la possibilità di poter traslocare se lo vogliono, principalmente all’interno del paese, e di accordar loro un finanziamento per realizzarlo», precisa la ricercatrice. Ora, al momento questo diritto resta vuoto di ogni prerogativa : non è accompagnato da nessun sistema di sostegno o di indennizzo finanziario. Il nuovo rapporto del Partito liberale democratico, che chiede un sostegno finanziario per i residenti sfollati affinché possano vivere altrove, cambierà le cose?

Bomba a scoppio ritardato

Per il momento, il governo nipponico spera di convincere i residenti a tornare nelle zone in cui il livello di contaminazione è inferiore a 20 mSv/an, conservando un obiettivo a lungo termine di 1 mSv/an. Il Primo ministro giapponese Shinzo Abe ha sempre intenzione di riavviare nel 2014 i 50 reattori nucleari dell’arcipelago. Può contare per questo sulla Francia. Il 17 aprile scorso, un convoglio di Mox, (assemblaggio di uranio impoverito e di plutonio), noleggiato dalla società francese Areva, è partito da Cherbourg verso il Giappone (leggere la nostra inchiesta sulle poste commerciali ed industriali di questa consegna).

Sull’isola, una bomba ad orologeria continua a stare a 30 metri dal suolo. Dal 18 novembre 2013, la compagnia giapponese Tepco, gestore della centrale di Fukushima, ha cominciato il ritiro delle 1 533 barre di combustibile nucleare depositate nella piscina del reattore 4. Un’operazione estremamente pericolosa: la quantità di cesio 137 presente nella piscina sarebbe «equivalente ad almeno 5 000 volte quello liberato dal bombardamento atomico di Hiroshima», secondo un perito nucleare dell’università di Kyoto [3]. Secondo Tepco, questo gigantesco cantiere dovrebbe concludersi entro la fine del 2014. Oggi purtroppo non esiste un «dopo»Fukushima , perché non è assolutamente finito, riassume Cécile Asanuma-Brice. Per riprendere i termini del pensatore tedesco Günther Anders, si potrebbe dire piuttosto che «Fukushima, è già domani».

di Sophie Chapelle

Traduzione in italiano : Fabienne Melmi (Global Action Italia). Originariamente pubblicato in francese.

Foto: CC Global 2000